Quando il sole entra nella costellazione della Vergine per la natura inizia una nuova fase: il grano è stato raccolto, i semi sono giunti a maturazione e le prime foglie iniziano a cadere, il primo ciclo evolutivo è giunto al termine, la terra ha dato il suo massimo per dare vita a piante e semi e ora deve ricostruire il suo humus per prepararsi a ricevere i nuovi semi, la sostanza si è manifestata e ora inizia il ciclo del ritorno all'essenza.
Il glifo del segno è una specie di M, la cui ultima parte termina con una linea diagonale che va dall'alto verso il basso (a differenza della M con cui viene rappresentato il segno dello Scorpione, in cui la M termina invece con una specie di "coda" a punta che va dal basso verso l'alto).
Ci sono diverse spiegazioni possibili dell'associazione della lettera M al segno della Vergine, la più probabile è che la M indichi l'iniziale della parola "mater" (madre) e questa supposizione è avvalorata anche dal fatto che nelle più comuni iconografie il segno della Vergine è rappresentato da una fanciulla che reca in mano una spiga (simbolo di fertilità) e la fanciulla (vergine) simboleggia, a livello umano, la massima purezza e nel contempo la massima fecondità.
In molte religioni (fra cui quella cristiana) è presente la figura della Vergine come principio che associa la purezza alla fecondità.
Il mito che meglio definisce la natura di questo segno è quello in cui si narra che Demetra (Cerere nella mitologia latina), dea delle messi di grano dorate, non riusciva a darsi pace perché sua figlia Persefone (in latino Proserpina) era sparita, ella non sapeva che l'aveva rapita da Ade (in latino Plutone), il dio degli inferi, portandola a vivere con sé sottoterra.
La dea continuava a vagare disperata alla ricerca di Persefone, fino a che Helios (il Sole), sentite le sue grida disperate, riesce, con l'aiuto di Mercurio, messaggero degli dei, a rintracciare la figlia; ma a questo punto c'è un problema, perché è la stessa Persefone che, dopo aver mangiato il frutto del melograno, offertole da Plutone, preferisce rimanere con lui.
Madre e figlia protagoniste quindi della stessa leggenda di Iside e Osiride. La madre piange la figlia morta. Demetra, velata a lutto, la cercò per mare e per terra e, saputo della sorte della figlia ed il disinteresse da parte del padre Zeus, lasciò gli dei e si ritirò a Eleusi. Travestita da vecchia, si mostrò alla figlia del re, stando tristemente seduta all'ombra di un ulivo presso il pozzo della vergine. Irata per la perdita, la dea non permise ai semi di crescere sulla terra e fece voto di non mettere piede nell'Olimpo finché non gli fosse restituita la figlia. Nulla più spuntò dalla terra sgretolata.
Per risolvere la questione interviene Zeus e costrinse Ade a liberare Persefone e stipulò un patto con lui; decide che Persefone trascorrerà il periodo autunnale e invernale (in cui la terra riposa) con il marito nel regno degli Inferi e il periodo in cui sbocciano i fiori e maturano i frutti con la madre sulla terra. Persefone mangiò la melagrana e tornò alla vita così anche il grano ricominciò a crescere. Prima di ritornare in cielo con la figlia, Demetra insegna i riti per far crescere il grano agli uomini.
Le figure delle due donne, madre e figlia, si risolvono in due personificazioni del grano. Persefone, la dea che passa sei mesi sottoterra e il resto dell'anno tra i vivi è l'essenza dei semi nascosti nei campi sterili e incolti. In primavera il grano germoglia e la dea figlia è la personificazione del giovane frumento, mentre la dea madre è il vecchio frumento dell'anno prima. Personificazione della Terra dal cui vasto petto cresce il grano e tutte le piante. Per il mito, Demetra fu la prima a rivelare il grano agli ateniesi.
Per i romani Cerere (Demetra) aveva scoperto, che Proserpina (Persefone) era stata rapita da Plutone. Proserpina significava la fecondità dei semi, la cui mancanza aveva fatto piangere la terra per la sterilità. A livello artistico madre e figlia venivano rappresentate quasi identiche. Il culto del seme sepolto nella terra che si schiude a nuova vita suggerì il paragone col destino degli uomini e rafforzò la speranza che anche per l'uomo la tomba potesse non essere altro che il principio di un'esistenza migliore.
La madre del grano è presente in molti riti propiziatori. con le ultime spighe di grano raccolte, i mietitori formano una bambola detta appunto la madre del grano o la vecchia, e viene portata a casa sull'ultimo carro. Oppure contro l'ultimo covone i mietitori battono con dei bastoni sperando di cacciare la madre del grano. Il grano in diverse forme (bambola o covone) viene inzuppato d'acqua quale rito propiziatorio per la pioggia. Nelle feste di paese dedicate a Cerere, la bambola viene fatta a pezzi e gettata su un rogo. una giovane da fuoco al rogo per propiziare un prossimo raccolto.
Qualche volta l'ultimo covone viene chiamato "la madre della mietitura" o "la grande madre".
Ha la forma femminile e i mietitori danzano attorno. a volte il covone viene chiamano "nonna" e adornato con fiori e un grembiule. Altre volte viene chiamato la vecchia o il vecchio. Usanze simili si trovano nel Galles. La bambola di grano viene chiamata "strega" (wrach). La strega veniva portata dall'uomo dell'aratro e la lanciava sul falcetto del mietitore. L’usanza di potare a casa e di attaccare la strega al muro esiste ancora in certe fattorie del nord. In Polonia viene chiamata "Baba" ossia la vecchia. Si dice "nell'ultimo covone sta la vecchia". In certe parti la Baba fatta con l'ultimo covone ha la forma di una donna con un cappello di paglia.
In alcune usanze lo spirito del grano maturo viene chiamato madre, vecchia o nonna perché considerato vecchio, in età matura. In altri casi lo spirito de grano viene considerato giovane. Al fantoccio viene dato il nome di vergine o vergine del grano. A volte viene considerato come un bambino e l'uomo che ho tagliato l'ultimo ciuffo di grano urla "ho tagliato il cordone ombelicale". Tutti i modi di pensare che fanno parte di un primitivo paganesimo. In questi riti non esistono sacerdoti o una classe di persone che possa svolgere questi riti, tutti lo possono fare. Non ci sono luoghi speciali, i riti possono essere eseguiti ovunque. Si riconoscono degli spiriti, non degli dei.
I riti sono magici più che propiziatori. Si ha il favore della divinità con cerimonie che influenzano il corso della natura direttamente per una specie di simpatia fisica o per rassomiglianza tra il rito e l'effetto che si vuol riprodurre. I costumi dei contadini europei possono essere classificati come primitivi. I riti si praticano non in templi ma in boschi e in prati, presso ruscelli, nei granai, nei campi di grano.
La personificazione della dea del grano avviene anche con la vacca e il bue. Spesso rappresentata come una fanciulla fatta con le spighe e fiordalisi. Viene sacrificato il primo vitello nato in primavera. Viene anche personificato come gatto, capra, cavallo, lepre, gallo, lupo o cane. parallelismo tra concezioni dello spirito del grano in forma umana e quelle in forma animale. quando il grano ondeggia al vento di dice che vi sta passando attraverso sia la madre, sia il lupo, ecc ecc, del grano. Si ammoniscono i bambini a passare per i campi di grano perché vi sono questi spiriti che passano.
Il motivo perché gli antichi personificassero lo spirito del grano con una vasta sorta di animali: il primitivo per la semplice apparizione di un animale nel suo campo era sufficiente a suggerirgli una misteriosa relazione tra quella creatura e il grano. La morte era considerata un capro espiatorio. In Europa la prima domenica di quaresima i ragazzi cercavano la paglia per fare un fantoccio chiamato strega che veniva incendiato, il rito si chiamava "ardere la strega". Erano cerimonie usuali e diffuse (Fraser).
Spica, la stella più luminosa della costellazione della Vergine, era importante per gli antichi per i suoi rapporti con l’agricoltura. La Vergine è la spigolatrice: Spica, astro dalla luce bianca – azzurra, rappresenta la spiga di grano recisa. Secondo alcune tradizioni, rappresenta Cerere, la dea delle mesi, o Erigone, figlia di Arcade, dea della giustizia. Spica era chiamata dagli astrologia arabi “la solitaria”, “l’indifesa”, “l’incustodita” per la sua posizione solitaria nel cielo.
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