Arteka: Nettuno

12 maggio 2008

Nettuno


Emerge tra i flutti dell’oceano, torreggiando sopra le acque tumultuose, alghe e rivoli d’acqua scivolano sul suo corpo gigantesco, gocce scintillano tra i lunghi capelli e la barba, mentre la maestosa presenza scruta il suo regno. Gli occhi segnati da divina follia e divina aspirazione. Quando l’uomo giunge al cospetto della sua gloriosa divinità, taluni impazziscono, altri vengono ispirati spiritualmente; il suo ruolo consiste nel concedere la luce. Questo è il Poseidone del mondo greco, Nettuno nel Pantheon romano.

Nelle prime fonti, Poseidone era molto più un dio terreno, noto come il consorte di Da, nome pre – ellenico della potente dea della Terra Da o Demetra, a indicare un ruolo dominante della coscienza matriarcale.

Quando i primi greci iniziarono a esplorare i mari Poseidone venne assegnato il ruolo di dominatore delle acque. L’importanza relativa di Poseidone è indicata nel suo attributo: il Consorte della Madre. I miti di Poseidone corrispondono a quelli di Urano ma in misura inferiore. Con Urano e Gaia gli elementi di Aria e Terra si univano a Mente e Corpo; con Poseidone e Da erano l’Acqua e la Terra a fondersi alle Emozioni e al Corpo, creando una triplice divisione dell’uomo.

Come Urano fu detronizzato dalla sua progenie (Crono – Saturno) Poseidone venne coinvolto dal fratello Zeus (Giove) nella deposizione del padre Crono, figlio di Urano.

Poseidone continuò ad avere legami con i poteri della Terra. Noto come il Signore dei Terremoti, della Fertilità, e della Vegetazione, detto “Colui che scuote il suolo”. Veniva invocato il suo aiuto per evitare i terremoti e i Greci lo chiamavano Asphalios, “colui che previene le scosse”.

Nato da Rea e da Crono, era fratello di Zeus. Rea stanca di generare figli che poi venivano divorati dallo sposo, nascose Poseidone tra un branco di cavalli e diede al consorte un puledro da inghiottire in sua vece. Poiché Crono spesso assumeva la sembianze di un cavallo, non fu sorpreso di aver generato un puledro e lo divorò. Rea riuscì a salvare Poseidone e Zeus, e alla fine scoppiò la rivolta, quando i due fratelli avvelenarono Crono e lo detronizzarono, scacciando di Titani.

Il mondo fu diviso: il cielo a Zeus, gli inferi ad Ade e il mare a Poseidone. La Terra e l’Olimpo erano dominio comune, mentre Zeus venne investito di un’autorità superiore come Signore degli Dei. Secondo le leggende una delle principali città di Atlantide era denominata Poseidonis in onore al dio del Mare. I miti della distruzione di Atlantide sostengono una vendetta di Poseidone nella sua qualità di “Colui che scuote il suolo”. Le acque sommersero il continente che si inabissò nelle profondità del mare, forse a causa dell’empietà degli uomini.

Poseidone era sposato con Anfitrite, in origine una personificazione del mare, ma questo ruolo venne assunto da Poseidone. Anfitrite era una dea gentile e tranquilla, mentre Poseidone trasformò i mari in una natura più incostante. Poseidone era famoso per la sua abilità ad assumere diverse sembianze; le forme animali che prediligeva erano gli stalloni, i cavalli bianchi, tori giganti, arieti, delfini, e raramente uccelli ed esseri umani. Era noto anche come Signore dei Tori (mito di Minosse) e dei cavalli (detto Hippios). Dall’unione di Poseidone e Medusa nacque Pegaso, che come cavallo alato rappresentava la creazione di un ponte tra gli opposti, per mezzo del quale alle creature della Terra era concesso di ascendere ai mondi spirituali.

Nelle leggende associate al ciclo iniziatico dei miti di Ercole, Poseidone aiutò l’eroe donandogli dei potenti cavalli. Sia i cavalli sia Nettuno – Poseidone simboleggiano la tendenza dell’uomo a perdersi a causa di pensieri ossessivi o delle passioni provocate da reazioni emotive. L’aspetto positivo di questa predisposizione, rappresentato dal re che controlla i cavalli, consiste nel fatto che la natura emotiva usata nel modo giusto e sottomessa, offre il potere arricchente del sentimento e della sensibilità, e che sotto l’influenza direttrice dell’anima interiore è uno dei beni potenziali più grandi dell’uomo. È attraverso la sensibilità emotiva che possiamo provare empatia.

Il simbolo del tridente lo si trova anche associato al dio Shiva. Nell’induismo gli attributi di Nettuno sono riflessi in tre divinità: Idapati è descritto come Maestro delle Acque; Narayana come colui che muove le Acque; e Varuna come Signore degli Oceani. Questi vengono anche considerati aspetti di Vishnu, che è stato identificato con il principio Giove – Zeus.

Benché Poseidone e Nettuno vengano raffigurati come divinità maschili, dei potenti nel culto e nel mito, Nettuno, a volte, viene percepito come un pianeta che incarna principi femminili.

Nettuno come principio planetario femminile, collegato con immagini archetipe della donna, talvolta la martire, altre con il sacrificio o con la vittima, ma che evocano sensazioni di vulnerabilità e sofferenza. Vi sono aspetti positivi delle qualità femminili: un amore ricettivo, esaltato e votato al sacrificio. Questa natura evoluta e altruista dell’amore raggiunge la sua apoteosi nel romanticismo e nell’ideale spirituale dei miti del santo Graal.

Nettuno viene identificato come colui che ispira a seguire il sentiero della devozione mistica. L’acqua ha il potere di erodere lentamente la terra e la roccia; non esistono alternative tranne quella di accettare l’influsso trasformatore della dissoluzione. Il Mare, come fonte di ogni esistenza, è anche simbolo del fine ultimo, nel significato della concezione aristotelica, una condizione di assoluta perfezione dell’essere in atto che ha realizzato ogni sua potenzialità. Tale fine parrebbe comportare la perdita dell’autocoscienza, e una specie di morte; ma non bisogna dimenticare che l’uomo di ieri è comunque morto, e il contenuto del presente – senza – durata, dell’Eternità, è infinito se paragonato all’estensione del tempo passato o futuro. La meta finale non è la distruzione ma la liberazione.

Dal punto di vista buddista, l’individuo, inteso come processo più che un’entità, che perennemente diviene un'altra cosa (metamorfosi), è come il fiume di Eraclito nel quale non ci si immerge mai una seconda volta. Questo perpetuo flusso si contrappone al concetto di Mare silenzioso, dal quale le acque dei fiumi hanno origine e nel quale devono far ritorno.

Nel parlare di Mare come simbolo di nirvana, si pensa alle immote profondità, e come Meister Eckhart chiama “annegamento” la meta finale, così il buddista chiama “immersione” (ogadha).


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